di Raffaella Romagnolo
Al principio la pigna schiude i petali legnosi come una rosa esausta. La struttura spirale si disarticolata scaglia dopo scaglia e il seme rimane nudo, esposto. Una membrana traslucida lo inguaina come una carta velina.
Passano giorni, notti. Equinozio d'autunno. Un colpo di vento lo solleva. La membrana è un'ala tondeggiante, con nervature sottili come bava di ragno. Il seme è l'ispessimento scuro al margine inferiore, e si lascia condurre lontano dall'albero madre.
Il grembo che l'ha generato - un maestoso cedro del Libano - appare adesso come una struttura dai contorni netti e i colori definiti: il tronco centrale smagliante di resina, i grandi rami disposti anch'essi a spirale e protesi come braccia, il verde-azzurro della chioma, il verde ceroso delle pigne nuove, il marrone di quelle vecchie, il giallo uovo degli strobili maschili gonfi di polline.
L'ala tondeggiante fluttua, poi prende a sfarfallare. Intorno, altri alberi, rocce istoriate di licheni e cespugli di rododendro. Adesso è il seme a condurre la danza. Volteggia disegnando una spirale (ancora una spirale), si slancia in rotazione concentriche sempre più veloci, puntando dritto al suolo.
L'impatto è violento. Il modo ecoidale trafigge la superficie e trascinando il seme e il suo strascico alato là dove devono stare: dentro un cumulo di terra smossa ore prima dagli zoccoli di un maiale selvatico.
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