Le cinque rive
di Chiara Cecilia Santamaria
I passi erano il primo suono che sentiva ogni mattina: due, quattro, poi decine di suole di cuoio che calpestavano il selciato del chiostro. Una marcia ordinata, dalla cadenza ritmica.
A seguire c'era il rumore del basso e vibrato della campana conica, che gli attraversava le ossa come un lieve solletico.
Avrebbe avuto ancora tempo per un ultimo lembo di sonno, ma gli piaceva restare per qualche istante fermo e in silenzio, prima di alzarsi. Sul soffitto della sua stanza le irregolarità dell'intonaco creavano un gioco di ombre e luci dove, da bambino, aveva sempre immaginato di vedere delle figure. Erano animali, per lo più, e aveva dato loro dei nomi.
<<Vareen>> sussurra piano, ricordandone uno.
Quando era più piccolo fingeva di acciuffarli mettendo il pollice e l'indice davanti agli occhi chiudendoli rapidamente punto sorrise, ripensandoci.
Dopo un paio di minuti si mise a sedere, posando le piante dei piedi sulla pietra fresca. Sistemò i calzoni che usava per dormire, scompigliò i capelli per tentare di dissuaderli dalle direzioni che prendevano nel sonno, poi uscì dalla stanza coprendosi gli occhi. Il sole, anche a quell'ora del mattino, stava già inondando ogni angolo del patio. Scaldava le maioliche decorate a terra e muri ocra del Convicto, tagliando ombre nere come la notte appena trascorsa.
Nessun commento:
Posta un commento